martedì 26 gennaio 2021

Alen BOKSIC


Da Makarska, classe 1970, poco più che ventenne, approda in Francia nell’Olympique Marsiglia, dove vince una Coppa dei Campioni, strappandola al Milan di Capello. «In quella stagione, segnai 22 goal in 37 partite, ma giocavo in una posizione centrale e avanzata e non era un problema andare in rete. Ma che soddisfazione vincere la Champions, contro quella che era considerata la squadra più forte del mondo!».
Il calcio italiano lo accoglie nel 1993, a braccia spalancate, facendo di Alen un protagonista nella Lazio che insegue, con grande dispiego di risorse, lo scudetto.
Alen ha una forza fisica dirompente e una progressione da mezzofondista di classe, si presenta come una specie di Boniek, sicuramente più tecnico; insomma ha tutte le caratteristiche per diventare un bomber di razza e, invece, non sfrutta mai a dovere queste sue qualità, divorandosi spesso caterve di goal clamorosi. Nonostante ciò, approda alla Juventus, nell’estate del 1996.
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Spesso Alen Boksic è stato dipinto come tipo difficile – scrive Silvia Grosso su “Hurrà Juventus” dell’ottobre 1996 – con il quale non è agevole instaurare un dialogo, ma si tratta di un ritratto impreciso, frutto di troppi equivoci e che non gli rende assolutamente giustizia. Per lui è importante chiarire subito gli eventuali malintesi e presentarsi al suo nuovo pubblico nel migliore dei modi. Noi quindi gli cediamo volentieri la parola.
«Sono un ragazzo tranquillo, che non ama i contrasti e le polemiche. In passato ci sono stati dei problemi e sono stato ingiustamente accusato di essere uno che crea dissidi all’interno della squadra. Tutto questo è accaduto per via di alcune divergenze che ho avuto con il tecnico Zeman, episodi isolati dal quali si sono tratte conclusioni sbagliate sul mio conto. Io ero felicissimo di venire a giocare nella Juventus, a mio parere tra le più forti squadre al mondo, ma non volevo apparire ingrato nei confronti dei tifosi laziali, che mi erano stati vicini per molti anni e che era giusto sapessero la verità. Avrò dei difetti, ma non sono uno che sputa nel piatto in cui ha mangiato».
– Cosa ti ha colpito della Juventus?
«Tutto, e senza esagerare. L’accoglienza è stata molto calorosa, i dirigenti e i compagni mi hanno subito messo a mio agio e i metodi di allenamento e di gioco sono molto congeniali alle mie caratteristiche personali. Per non parlare poi dei prestigiosi traguardi che vedo finalmente a portata di mano e che, con una squadra così competitiva, sarà possibile raggiungere. Mi piace poi molto la tranquillità che si respira a Torino, una città che vive con la giusta misura gli eventi calcistici, a differenza di Roma dove invece le tensioni erano all’ordine del giorno. Finalmente posso passeggiare in tutta tranquillità, firmando al massimo qualche autografo e godendomi un po’ di anonimato».
– Italia sì, ma anche molta Croazia nella tua testa e, soprattutto, nel tuo cuore.
«In Italia mi trovo benissimo e non potrebbe essere altrimenti. Questo è un paese che offre un’ottima qualità di vita e il miglior calcio del mondo. Certo che il mio paese mi manca e appena posso ci ritorno per qualche giorno; quando ero a Roma era più semplice, perché bastavano quarantacinque minuti di volo, ma anche da qui non mancheranno le mie rimpatriate. Comunque vengono spesso dei miei amici a trovarmi, che mi aiutano a combattere la nostalgia e mi fanno sentire un po’ come a casa. Il periodo della guerra è stato ovviamente brutto, fortunatamente la mia zona non è stata direttamente interessata dal conflitto, ma questo non significa che io abbia vissuto con meno intensità l’evolversi della situazione. Noi calciatori, la nazionale di basket, il tennista Ivanisevic e gli altri sportivi famosi abbiamo fatto il possibile per aiutare la Croazia e per attirare l’attenzione dei media sulla crisi nell’ex Jugoslavia. Con i nostri successi siamo inoltre riusciti a trasmettere un’immagine positiva del nostro paese altrimenti noto solo per i fatti di guerra».
– A chi devi il tuo successo?
«La svolta della mia carriera ha coinciso con l’arrivo all’Olympique Marsiglia e l’allora presidente Bernard Tapie mi ha aiutato davvero molto. Il primo anno non potevo giocare per problemi di tesseramento e lui mi è stato vicino e mi ha incoraggiato in modo davvero speciale. So che questo può sembrare strano, perché Tapie è un uomo molto criticato, in Italia come in Francia, ma ha sicuramente delle doti fuori dal normale, è uno che ha successo in tutto quello che fa, come dimostra la sua recente affermazione nelle vesti di attore. Mi aveva anche invitato lo scorso mese alla prima del suo film, ma non sono potuto intervenire perché ero impegnato con la squadra. A lui, che si è dimostrato un amico, devo un grazie particolare».
– C’è qualche calciatore al quale, nel corso della tua carriera, ti sei ispirato, che hai considerato un modello?
«Quando ho incominciato a giocare, da piccolo, stravedevo per Vujovic, attaccante e capitano dell’Hajduk Spalato, un vero idolo per tutti i giovani del mio paese. Successivamente il mio modello è stato Marco Van Basten, uno straordinario fuoriclasse, mentre ora... Spererei di essere io il modello di qualche ragazzo».
– Concludiamo con una curiosità. Cosa fai nel tempo libero?
«Quale tempo libero? A parte gli scherzi, non ho davvero molto tempo a disposizione e lo dedico tutto ai miei figli, Stella di tre anni e mezzo e Antonio di due e mezzo, e a mia moglie Aida. Soprattutto in questo periodo, dopo che sono stati due mesi in Croazia a trascorrere le vacanze con i nonni, sono i bambini il mio passatempo preferito».
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L’avvio è incoraggiante, dei tanti bomber di cui la Juventus quell’anno dispone (Vieri, Amoruso, Padovano, Del Piero) Alen è il primo a convincere e a catturare l’attenzione dei tifosi. All’esordio in Champions League, l’11 settembre 1996, annienta il Manchester United con azione da manuale del perfetto sfondatore e si ripete a Istanbul contro il Fenerbahçe e contro il Rapid Vienna, addirittura con doppietta, nel 5-0 del 30 ottobre dello stesso anno.
In campionato, stessa solfa: un goal al Cagliari alla seconda, un altro all’Udinese alla decima. Poi, qualche malanno muscolare e la pesante concorrenza interna non gli permettono di giocare con continuità. Fino a sabato 19 aprile, un Bologna-Juventus decisivo per lo scudetto. Boksic segna un goal strepitoso al termine di uno slalom alla Sivori, alla Platini, insomma da grandissimo campione, quale avrebbe potuto essere.
Ma il suo rendimento è troppo discontinuo e la stagione successiva ritorna alla Lazio, dopo aver vestito la maglia bianconera per 33 partite, con solamente 7 realizzazioni. Troppo poche, per poter indossare la maglia numero 9 della Juventus.

1 commento:

Rob72 ha detto...

Troppo emotivo per segnare,il contrario di inzaghi o trezegol..o lui o delpiero ,la scelta e'presto fatta,e la lazio di cragnotti che pensava solo alle plusvalnze lo ha pagato bene..operazion sensata anche se mi dispiace sia andato via..che juve che avevamo mamma mia.